Economia dei desideri…

Figura umana solitaria davanti a un enorme carrello della spesa pieno di simboli del desiderio moderno, con una città in rovina sullo sfondo e una valle verde in lontananza — Economia dei desideri contrasto tra consumo e liberazione.

Quando il desiderio smette di essere umano e diventa strategico

A sentirli parlare, l’economia sarebbe nata per gestire la scarsità. Ma a guardar bene, sembra piuttosto che si sia specializzata nel creare nuove forme di mancanza, pur di restare necessaria.

Non è più questione di pane, acqua, riparo. Quelle sono esigenze elementari, quasi banali. Il vero motore dell’economia moderna è il desiderio che non si placa mai, quello che si sposta appena credi di averlo raggiunto.
Un nuovo oggetto. Un nuovo status. Un nuovo traguardo da inseguire prima che tu possa accorgerti che forse, alla fine, non ti serve davvero.

Benvenuto nell’economia dei desideri: un sistema che non si accontenta di soddisfare i bisogni, ma che lavora per moltiplicarli, renderli più sottili, più sofisticati, più urgenti.

Non consumi per necessità, ma per riempire un vuoto narrativo. Il tuo ruolo non è più quello di cittadino, né di lavoratore: sei un consumatore. E se non desideri nulla, non servi più a niente.

Il paradosso è evidente, ma ben nascosto: l’economia dice di voler gestire ciò che è limitato, ma funziona solo se riesce a convincerti che ti manca sempre qualcosa.
E allora ogni cosa che hai smette di essere un punto d’arrivo, e diventa solo la base per desiderare di più.

Una fame infinita, coltivata con cura. Altro che scienza: è un’arte della frustrazione redditizia.

Scarsità selettiva: perché le risorse sono finite solo per chi non comanda

L’economia classica ci insegna che le risorse sono limitate, e che la vera sfida sta nel distribuirle in modo efficiente.
Bella teoria. Peccato che l’efficienza, nel mondo reale, somigli sempre maledettamente a una giustificazione per l’ingiustizia.

Perché la verità è questa: la scarsità non è neutra. È gerarchica.
Le risorse non sono semplicemente poche. Sono poche per alcuni, e disponibili per altri.
Non è un errore. È un progetto riuscito.

Chi detiene il potere non vive in un mondo dove mancano le cose.
Lì, l’acqua c’è. Il tempo c’è. L’energia, lo spazio, la salute, le alternative: tutto c’è, in abbondanza e senza fretta.
È solo quando si scende lungo la scala sociale che il mondo comincia a restringersi.

Nel regno dell’economia dei desideri, le promesse sono per tutti, ma le risorse restano nelle mani di pochi.
Tu puoi desiderare. Anzi, devi. Ma ottenere… quello è un altro discorso.

E mentre ti dibatti tra turni, bollette e offerte 3×2, c’è chi specula sul fatto che tu non metta mai davvero in discussione le regole del gioco.
Perché chi ha tutto da guadagnare da questo sistema, ha anche il lusso di farlo sembrare naturale.

Il meccanismo è elegante, quasi poetico: chi comanda produce scarsità per gli altri, e poi vende soluzioni a rate.
E se ti azzardi a chiamarla truffa, ti rispondono che non capisci l’economia.

L’equilibrio come mito: quando l’economia benedice la disuguaglianza con parole eleganti

C’è una parola che torna spesso nei discorsi economici: equilibrio.
Domanda e offerta. Costi e benefici. Incentivi e penalizzazioni. Tutto dovrebbe autoregolarsi, come un’orchestra invisibile che suona in armonia per il bene collettivo.
Peccato che, nella pratica, l’unica sinfonia che si sente è quella dei privilegi che si perpetuano.

L’equilibrio, nell’economia dei desideri, è una messinscena sofisticata: serve a far sembrare giusto ciò che conviene ai più forti.
Una favola ben scritta per far accettare la disuguaglianza come se fosse un esito naturale.
Ma non c’è niente di naturale nel fatto che una piccola élite continui ad accumulare mentre la maggioranza rincorre illusioni a rate.

Se non riesci a stare al passo, ti dicono che sei fuori mercato.
Se sei sfruttato, è perché non ti sei adattato abbastanza.
E se desideri qualcosa che non puoi permetterti, la colpa è tua: non hai studiato abbastanza, non hai creduto in te stesso, non hai fatto personal branding come si deve.

La forza dell’economia dei desideri sta proprio qui: trasforma una trappola sistemica in una colpa personale.
Così il gioco può continuare, indisturbato, mentre tu ti sforzi di “migliorarti” inseguendo obiettivi che non hai mai scelto davvero.

La verità è semplice, ma inaccettabile per chi gestisce le regole:

Il concetto di valore nella giungla dell’economia dei desideri

🧔‍♂️ Adam Smith

Il valore come utilità e lavoro. Ma con eleganza scozzese.

Il buon Adam Smith, nel 1776, pubblica La ricchezza delle nazioni e getta le basi del pensiero economico moderno.

  • Valore d’uso → quanto una cosa è utile.
  • Valore di scambio → quanto una cosa vale nel mercato.

Curiosamente, l’acqua ha un valore d’uso altissimo e un valore di scambio basso. I diamanti, viceversa. E da lì comincia il casino.

Smith cerca di mantenere un equilibrio tra utilità e lavoro come fonte del valore, ma senza mai togliere il cappello davanti al mercato.

La sua visione? Un mondo in cui l’interesse personale genera ordine sociale.
Non è andata proprio così.

👨‍🏭 Karl Marx

Il valore come sfruttamento ben calcolato.

Marx prende il concetto di valore di Smith e lo ribalta come un tavolo.

Per lui, il valore non è creato dalla magia del mercato, ma dal lavoro umano. Più precisamente: dal lavoro non pagato.

La sua teoria del valore-lavoro mostra come il profitto derivi dalla differenza tra ciò che il lavoratore produce e ciò che riceve in cambio.

Il resto? Va al capitalista. Chiamalo surplus, chiamalo furto elegante.

Nell’economia dei desideri, Marx sarebbe probabilmente lapidario:
“Desideri quello che ti aliena. E paghi pure per farlo.”

🧠 John Maynard Keynes

Il valore è fiducia, aspettativa, e intervento statale.

Keynes, elegante e lucido, negli anni ’30 cambia le regole del gioco.

Per lui, il valore non è oggettivo: è una danza tra percezioni e aspettative collettive.

La gente non spende in base a ciò che è, ma in base a ciò che crede che gli altri faranno.

Il mercato è instabile. E lasciato a se stesso, non si autoregola proprio un bel niente.

Soluzione? L’intervento pubblico, per stabilizzare domanda, occupazione e fiducia.

Keynes è il primo a dire chiaro e tondo:
“Lasciare tutto al mercato è come guidare bendati sperando nel karma.”

🧮 Cosa ci insegnano oggi?

  • Smith ci ha dato l’alibi dell’individuo razionale.
  • Marx ci ha mostrato la fregatura nascosta nei prezzi.
  • Keynes ci ha ricordato che il mercato ha bisogno di correttivi, non di adorazione.

Oggi, nell’economia dei desideri, il valore si è smaterializzato. Non è più legato all’utilità, né al lavoro, né alla stabilità.

È diventato percezione, storytelling, status. O peggio: viralità.

Un NFT può valere milioni. Un contadino che sfama cento persone, quasi nulla.
Ma guai a dirlo: stai rompendo l’incantesimo.

Economia dei desideri e ribellione silenziosa: la rivoluzione della sufficienza

C’è un gesto oggi più sovversivo di una manifestazione, di un boicottaggio o di uno sciopero: smettere di volere tutto.
In un mondo dominato dall’economia dei desideri, dove ogni giorno ti viene ricordato che “puoi avere di più”, scegliere di non volere è un atto di disobbedienza profonda.

L’alternativa esiste, anche se nessuno te la mostra in prima serata: si chiama economia della sufficienza.
Non è pauperismo. Non è rifiuto della tecnologia o del comfort. È una riscoperta attiva del limite come forma di libertà.

Significa non farsi definire da quello che manca, ma da ciò che basta.
Significa rompere il ciclo tossico del desiderio indotto e riconoscere che una vita dignitosa non ha bisogno di trenta paia di scarpe, né di un frigorifero che ti parla.

Il vero problema non è che le risorse siano scarse.
È che l’ossessione per l’abbondanza ci rende ciechi davanti a ciò che abbiamo già.
E mentre ci danniamo per ottenere sempre qualcosa in più, chi sta in cima alla piramide si gode il privilegio di non dover desiderare nulla: ha già tutto, compreso il potere di venderci l’illusione che stiamo scegliendo liberamente.

Uscire dall’economia dei desideri non è semplice.
Richiede una lucidità feroce, quasi scomoda. Ma è lì che nasce la vera rivoluzione: nel non confondere il benessere con l’accumulo, e la libertà con la possibilità di scegliere tra cinquanta modelli dello stesso bisogno inventato.

Tre idee bastarde per ribaltare l’economia dei desideri

🧠 Economia comportamentale

Ovvero: il consumatore razionale non esiste. Ma continua a spendere.

Per decenni l’economia ha dato per scontato che tu fossi un agente razionale: lucido, logico, calcolatore.

Lo dimostra l’economia comportamentale, disciplina che incrocia psicologia e analisi economica, nata per rispondere a una domanda imbarazzante:

Perché le persone continuano a fare scelte del cazzo, anche quando sanno che non conviene?

La risposta? Perché siamo pieni di bias cognitivi, trappole mentali, scorciatoie emotive.

Nell’economia dei desideri, questi meccanismi non si correggono. Si sfruttano.

Le aziende non vendono solo prodotti. Vendono trigger psicologici ben confezionati: scarsità, urgenza, FOMO, appartenenza, status.

Il risultato? Metti nel carrello e ti convinci che hai fatto una scelta consapevole. Spoiler vero: non l’hai fatta tu. L’hanno fatta per te.

🍩 Economia della ciambella

Quando il centro è vuoto e il limite è rivoluzione.

Ideata da Kate Raworth, l’economia della ciambella prende le distanze dal capitalismo turbo e dal finto greenwashing.

Immagina una ciambella:

  • Il buco centrale rappresenta il minimo necessario per vivere con dignità.
  • Il bordo esterno è il limite ecologico da non superare.

L’economia deve muoversi nello spazio sicuro tra questi due anelli: né troppo poco, né troppo.

Nell’economia dei desideri, il limite è visto come fallimento. Nella ciambella, è ciò che salva la specie.

“Il PIL cresce anche se crollano i ghiacciai. Forse è ora di cambiare metrica.” – Kate Raworth

🌱 Post-crescita

Crescere per sempre è una favola. E pure scritta male.

L’idea che l’economia debba crescere all’infinito è talmente radicata che metterla in discussione sembra eresia.

Ma ogni organismo che cresce senza limiti si chiama in un altro modo: tumore.

La corrente della post-crescita propone qualcosa di inedito e urgente:

  • Smettiamola di misurare il benessere col PIL.
  • Smettiamola di chiamare “sviluppo” l’accumulo insensato.
  • Iniziamo a chiederci: cosa ci serve davvero per stare bene?

Non è un ritorno all’età della pietra. È un ritorno al buon senso, prima che sia troppo tardi.

Nell’economia dei desideri, nessuno è mai davvero soddisfatto. Forse perché stiamo crescendo nella direzione sbagliata.

Pensare contro il mercato: quando l’economia dei desideri teme le domande sbagliate

L’economia ama farsi passare per una scienza esatta.
Tabelle, grafici, sigle, percentuali: tutto sembra oggettivo, inattaccabile, neutro.
Ma appena provi a chiedere “chi decide cosa vale e cosa no?”, la maschera comincia a scivolare.

Perché sotto le formule, l’economia non è solo calcolo: è ideologia in abito da scienziato.
Una forma sofisticata di narrazione, costruita per farci accettare come naturali disuguaglianze, sacrifici, precarietà, e – soprattutto – una fame infinita che non abbiamo mai scelto davvero.

L’economia dei desideri non ha bisogno che tu capisca. Le basta che tu consenta.
Che tu lavori, consumi, desideri. Che non faccia troppe domande.
Che ti senta colpevole quando sei stanco. E inadeguato quando sei sazio.

Ma basta poco per rompere l’incantesimo: una domanda giusta nel momento giusto.
Perché desidero ciò che desidero?
Chi ci guadagna dal mio senso di mancanza?
Cosa succede se smetto di correre?

Pensare è l’atto più pericoloso nell’economia dei desideri, perché non produce profitto, ma consapevolezza.
E la consapevolezza, per chi comanda, non è mai un buon affare.

🌿 Controesempi virtuosi – Tre modi bastardi di non giocare più secondo le loro regole

Nel pieno dell’economia dei desideri, dove la scarsità è manipolata e il desiderio sfruttato, qualcuno ha deciso di non starci più dentro.
E no, non sono guru o santoni. Sono comunità, reti, esperimenti reali che dimostrano una cosa semplice e potente:

Esiste un’economia che non si basa sulla mancanza, ma sulla relazione.

🏘️ 1. Modelli di comunità: quando l’economia diventa relazione

Dalle campagne italiane alle zone rurali del Sud America stanno fiorendo modelli di vita condivisa dove la logica non è accumulare, ma cooperare.

Gente normale che dice:
“E se ci mettessimo insieme per soddisfare i nostri bisogni, invece di comprarli uno per uno al prezzo di mercato?”

Risultati? Costi più bassi, qualità della vita più alta, legami umani veri.

Nell’economia dei desideri, sei solo finché consumi. Qui, sei ricco quando condividi.

🌊 2. Beni comuni: quello che funziona meglio quando non è privato

Nel dogma neoliberista, tutto ciò che non è privatizzato è inefficiente.
Peccato che sia una bugia, smentita da secoli di storia e da Elinor Ostrom, Nobel per l’Economia.

Un bene comune è qualcosa che:

  • non è di nessuno,
  • è di tutti,
  • funziona solo se tutti lo rispettano.

Foreste, corsi d’acqua, saperi condivisi, reti digitali: gestiti con regole autonome e responsabilità diffusa, non per profitto ma per sopravvivenza sostenibile.

Là dove il mercato vede solo risorse da sfruttare, il bene comune vede territorio, memoria, futuro.

🔄 3. Consumo collaborativo: l’economia dell’accesso

Non hai bisogno di possedere tutto. Hai bisogno di accedere a ciò che ti serve, quando ti serve.

È la logica alla base del consumo collaborativo: car sharing, tool sharing, coworking, bookcrossing, scambi locali non monetari.

L’uso batte il possesso, e la rete batte la proprietà.

Per l’economia dei desideri, questa roba è veleno puro: se non compri, non alimenti la macchina. Ma per te, potrebbe essere l’inizio di una vita più leggera, più umana, più sensata.

🇧🇹 Bhutan: quando il PIL non basta (e qualcuno ha il coraggio di dirlo)

In un mondo in cui il benessere si misura in punti percentuali, il Bhutan ha fatto qualcosa di impensabile:

Ha sostituito il PIL con un indice chiamato Felicità Interna Lorda (FIL).

L’obiettivo? Misurare la qualità della vita delle persone attraverso indicatori come:

  • benessere psicologico
  • salute
  • educazione
  • equilibrio ecologico
  • cultura
  • buon governo

Un gesto piccolo in scala, ma enorme in portata simbolica.

Chiaro: il Bhutan ha limiti evidenti — è piccolo, isolato, non proprio una democrazia modello — ma ha avuto il coraggio di dire ciò che l’Occidente finge di non sapere:

Crescere non basta, se nel frattempo ti stai spegnendo.

Nell’economia dei desideri, dove tutto si misura in “quanto hai”, il Bhutan ricorda che esiste ancora la domanda “come stai?”

E forse è la più economica – e la più radicale – di tutte.

🔗 Approfondisci: Gross National Happiness Centre Bhutan

In sintesi

L’economia dei desideri non è solo un sistema economico: è una forma culturale di addomesticamento collettivo.
Ma puoi sottrarti. Non con l’isolamento o l’ascetismo, ma con scelte consapevoli, gesti mirati, pensieri fuori dal coro.

E soprattutto: con la libertà bastarda di non desiderare tutto ciò che ti è stato insegnato a volere.

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