Manuale di sopravvivenza per chi non si fida dei salvagenti gonfiabili del sistema

Hai mai notato come la parola sicurezza venga evocata ovunque, come un incantesimo protettivo?
Politici che la promettono, aziende che la vendono, esperti che la spiegano. È il mantra dell’Occidente postmoderno: sicurezza prima di tutto, sicurezza sul lavoro, sicurezza dei dati, sicurezza emotiva, sicurezza economica, sicurezza nazionale.
Sicurezza di che, esattamente?

Il punto è che non lo sappiamo più.
Ci aggrappiamo a questa parola come un naufrago a una tavola di polistirolo, ma se la guardi da vicino, scopri che la sicurezza è un concetto talmente vago da poter significare tutto… o niente.
È diventata una religione laica, fatta di riti automatici e paure mal gestite. E come ogni religione, ha il suo dio (la stabilità), i suoi profeti (gli esperti in previsioni rassicuranti), i suoi peccati (l’imprevisto, l’errore, il cambiamento) e soprattutto i suoi fedeli: noi.

Il bisogno di sicurezza non è sbagliato in sé. È umano, ancestrale, inscritto nella biologia.
Ma oggi è iperstimolato, esasperato, mercificato. E soprattutto: non risolto.
Viviamo in un paradosso tragico e comico: più sicurezza cerchiamo, più ci sentiamo insicuri.

E allora forse è il momento di guardarla in faccia, questa sicurezza che non arriva mai.
Capire da dove nasce, come ci plasma, chi la sfrutta… e cosa possiamo fare per non diventarne ostaggi emotivi.

Uomo iperprotetto in una stanza imbottita indossa casco e giubbotto antiproiettile mentre beve da una tazza con la scritta “Finally Safe”, immagine satirica sul paradosso della sicurezza

Filosofia della sicurezza – L’essere umano davanti al caos

Se togli tutta la tecnologia, le assicurazioni, i contratti e i sensori di movimento, cosa resta dell’uomo?
Un animale nudo che sa di dover morire e non può farci niente.
Tutto parte da lì.
Il bisogno di sicurezza è l’urlo silenzioso della coscienza quando si accorge che il mondo non è progettato per proteggerla.

🔸 Epicuro lo sapeva già nel III secolo a.C.

La felicità è possibile solo se si elimina la paura della morte e del dolore. Ma il problema è che non si può vivere pienamente cercando solo di evitare ciò che fa male. Chi vive per non soffrire, soffre vivendo.

🔸 Spinoza, secoli dopo, prende il coltello e lo affonda più a fondo:

L’uomo è attraversato dal desiderio di conservazione.
Chiama questo slancio conatus, la tendenza di ogni essere a perseverare nel proprio essere.
Ma aggiunge: se non comprendi le cause di ciò che temi, diventi schiavo delle passioni più basse — paura, odio, superstizione.

🔸 Kierkegaard invece si siede accanto all’ansia e le dà del tu.

Per lui, l’angoscia è il prezzo della libertà.
Siamo sospesi nel possibile, dilaniati tra la voglia di sicurezza e il bisogno di diventare ciò che siamo.
Scegliere l’angoscia — non evitarla — è l’atto di nascita dell’autenticità.

🔸 Nietzsche non ci gira troppo intorno:

La sicurezza è la morte del dionisiaco, dell’istinto, della creazione.
Solo chi ha il coraggio di stare nella tensione dell’ignoto, senza religioni, senza certezze, senza appigli, può diventare qualcosa di più di una funzione sociale ben adattata.

🔸 E se ti sembra troppo occidentale, il Buddha ci arriva da tutt’altra strada, ma con lo stesso pugno in faccia:

Tutto ciò che nasce è impermanente.
Cercare sicurezza nell’impermanenza è il primo motore della sofferenza.
Chi cerca stabilità in un mondo che non la prevede è destinato alla frustrazione eterna.

Il punto non è filosofico. È vitale.
L’uomo moderno, cresciuto con l’idea che tutto debba essere prevedibile, lineare e garantito, non è più capace di sopportare il caos.
E allora lo censura. Lo struttura. Lo recinta.

Chiama questa architettura “normalità”.
Chi ci vive dentro si chiama “persona responsabile”.

Ma sotto sotto, sta solo cercando di addomesticare l’abisso.
Peccato che l’abisso non firmi contratti.

Psicologia della sicurezza – Mente ansiosa, mente controllante

Il cervello umano è un sopravvissuto evolutivo.
Non nasce per comprendere il mondo, ma per renderlo sopportabile.
E il modo migliore per sopportarlo, da centinaia di migliaia di anni, è fare finta che sia prevedibile.

Chiamiamo “sicurezza” questa finzione ben costruita.
In realtà, è solo una strategia cognitiva per tenere a bada l’angoscia.

🔍 Il cervello odia il vuoto (e se lo inventa)

La nostra mente funziona per default come macchina predittiva:
se non può sapere, immagina.
Se non può immaginare, distorce.
Tutto, pur di non restare esposta all’imprevedibilità.

Qui entrano in gioco i bias cognitivi, i piccoli software mentali che ci fanno sentire al sicuro mentre ci raccontiamo fandonie:

  • Confirmation bias → vedo solo ciò che conferma ciò che già credo.
  • Illusione di controllo → credo di avere potere su eventi casuali.
  • Neglect of probability → sottovaluto rischi reali e mi ossessiono con quelli scenografici.
  • Availability heuristic → credo che ciò che ricordo meglio sia anche più frequente.

Queste distorsioni non sono errori: sono meccanismi di sopravvivenza emotiva.

L’insicurezza interiore come disfunzione percettiva

Chi non ha mai sperimentato una base sicura (in infanzia, relazioni, identità), tende a cercare sicurezza ovunque, spesso con comportamenti ossessivi:

  • controllo compulsivo di notifiche, orari, spese, parole dette o non dette;
  • bisogno patologico di conferme e rassicurazioni;
  • intolleranza al cambiamento, rigidità affettiva, e reazioni spropositate alla minima deviazione dal “copione”.

Il risultato? Una gabbia dorata di pseudo-sicurezze, dove:

  • le emozioni sono “gestite” ma non vissute,
  • le relazioni sono “stabili” ma senza contatto reale,
  • il lavoro è “sicuro” ma completamente sradicato dal desiderio.

Il paradosso è questo:
più cerchi sicurezza fuori, più ti frantumi dentro appena qualcosa esce dallo schema.

Dal contenimento al contenimento ossessivo

Nella psicologia clinica, sappiamo che il bisogno di contenimento è fondamentale.
Ma quando diventa centrale, cronico, automatico, si trasforma in sintomo.

  • Il bambino cerca sicurezza nell’abbraccio.
  • L’adulto insicuro la cerca nel controllo.
  • Il nevrotico la cerca nel rituale.
  • Il depresso, non trovandola, smette direttamente di cercare.

In tutti i casi, la sicurezza è trattata come se fosse un diritto assoluto.
Ma la vita non ha firmato quel contratto.
E il disagio arriva quando ci accorgiamo che nessuno è davvero in grado di garantircela.

Il bisogno di sicurezza non è patologico.
Diventa tale quando sostituisce la capacità di stare nell’incertezza.

Ecco perché il vero indice di salute psicologica oggi non è quanto ti senti al sicuro…
…ma quanto riesci a non andare in frantumi quando non lo sei.

Politica e società – La sicurezza come feticcio culturale

Nel linguaggio della politica e dei media, la parola sicurezza ha smesso di essere un concetto.
È diventata una liturgia, un gesto automatico, un incantesimo ripetuto finché nessuno osa più chiedere: sicurezza per chi? da cosa? e a che prezzo?

Ogni volta che senti “sicurezza urbana”, “sicurezza energetica”, “sicurezza nazionale”… fermati.
Stai per assistere a un rito di purificazione simbolica, non a una reale analisi del rischio.

📢 Sicurezza come strumento di consenso

La politica moderna ha imparato a usare la sicurezza non per proteggere, ma per legittimare.

  • Emergenze costruite per introdurre norme eccezionali.
  • Paure amplificate per spostare il focus dal disagio sistemico a minacce gestibili.
  • Narrazioni securitarie usate come anestetico collettivo mentre le disuguaglianze aumentano.

E il pubblico, che fatica a tollerare l’incertezza, accetta tutto ciò che sa di protezione:

  • più sorveglianza,
  • meno privacy,
  • più divise,
  • meno complessità.

🧘‍♀️ Sicurezza come coreografia pubblica

La sicurezza oggi non è solo una pratica. È un’estetica.
Una danza di procedure, divieti, moduli, badge, cordoni, notifiche.
Un mondo in cui “essere sicuri” non significa più essere al riparo…
…ma apparire conformi, prevedibili, dentro il perimetro del gestibile.

Abbiamo costruito città dove l’imprevisto è trattato come una falla.
Uffici dove l’emotività è vista come una minaccia.
Scuole dove l’errore non è più una tappa ma un disturbo.
Relazioni dove si cercano partner “sicuri” come se stessimo scegliendo un piano tariffario.

Viviamo in un sistema iper-rassicurante dove nulla è più sicuro che smettere di sentire.

Eccola, la sintesi perfetta:
blindati contro il mondo, ma senza nulla dentro che valga la pena proteggere.

Non ci servono più muri.
Ci bastano i protocolli.
E se resti lì, nel cerchio disegnato per te, nessuno ti disturberà mai.
A parte te stesso.

Sicurezza percepita vs sicurezza reale – Il grande fraintendimento collettivo

Viviamo in uno dei periodi più sicuri della storia umana.
Eppure siamo ossessionati dal pericolo.

Abbiamo meno possibilità di morire assassinati oggi che in qualunque epoca precedente.
Siamo circondati da ospedali, reti di protezione sociale, codici, password, sistemi di sorveglianza, leggi, statistiche, linee guida.
E nonostante tutto questo, la nostra testa galleggia in un mare di allarmi e ansie.
Perché?

Perché la sicurezza percepita non ha nulla a che fare con i dati.
È una narrazione interna, un film dell’orrore cucito sulla psiche collettiva, che i media, la politica, e la nostra stessa struttura cognitiva alimentano ogni giorno.

🔪 Criminalità

I dati dicono che gli omicidi in Italia sono ai minimi storici, e che i reati predatori, pur risaliti dopo la pandemia, non superano i livelli del 2019.
Eppure 1 italiano su 4 teme per la propria incolumità nel quartiere, e il 72% è convinto che “la criminalità sia aumentata” rispetto a 5 anni fa.
Il paradosso è servito: meno morti, più paura.

📺 Il killer, oggi, non è dietro l’angolo. È nella tua testa, costruito dalla cronaca nera h24, sempre pronta a mostrarti l’eccezione come regola.

🏥 Sanità

Le cause principali di morte in Italia sono prevedibili, croniche, e prevenibili: infarti, ictus, tumori.
Le malattie rare o esplosive sono marginali.
Eppure durante la pandemia abbiamo spostato tutta la nostra percezione sanitaria sulla minaccia immediata, salvo poi dimenticarla a fine emergenza, mentre i problemi strutturali restano lì: silenziosi, gravi, ignorati.

📉 Sappiamo che la salute mentale è la nuova epidemia globale, ma ci preoccupiamo più per nuovi virus che per le nostre psicosi di ogni giorno.
È l’effetto “paura cinematografica”: serve una minaccia spettacolare per sentirci davvero in pericolo.

💶 Economia

Disoccupazione al minimo da vent’anni.
Occupazione record.
Ma prova a chiedere a un italiano medio se si sente economicamente sicuro.

Il 62% teme per pensione, reddito, risparmi.
Il 2/3 pensa che i giovani staranno peggio.
L’inflazione diventa incubo anche quando rallenta.

🎭 L’economia non è più un sistema: è un’emozione collettiva.
E quando il sentimento è insicurezza, nessun PIL basta a scaldarti le ossa.

🌍 Ambiente

Qui il quadro è invertito: il rischio è reale, ma percepito a singhiozzo.
Il clima è una bomba lenta che esplode ogni anno: frane, incendi, ondate di calore.
Eppure la nostra paura cresce solo quando l’acqua ci arriva al ginocchio.
Il cambiamento climatico è ovunque, ma lo trattiamo come se fosse altrove, o dopodomani.

⏳ Riconosciamo il rischio, ma non lo metabolizziamo.
È troppo grande per la nostra mente di mammiferi urbani, troppo lento per il ciclo delle notizie, troppo scomodo per le nostre abitudini.

💻 Digitale

Gli attacchi informatici sono cresciuti del +65% in Italia solo nell’ultimo anno.
Siamo tutti bersagli, ma solo 1 italiano su 4 si preoccupa davvero della sicurezza dei suoi dati.
Nel frattempo, clicchiamo su phishing, ci logghiamo senza doppia verifica, affidiamo la nostra identità digitale a tre “ok” e una password con l’anno di nascita.

🧠 Qui il bias è perfetto: più qualcosa è intangibile, più lo sottovalutiamo.
E il cyber-rischio è l’unico che ti entra in casa senza fare rumore.

Fonti ufficiali sulla sicurezza percepita

ISTAT – La percezione della sicurezza 2022–2023
Secondo l’ISTAT, il 76% degli italiani si sente molto o abbastanza sicuro camminando al buio, in aumento rispetto al passato.
istat.it | it.axon.com
Censis – Qualità della vita e sicurezza domestica
L’89,2% degli italiani considera la sicurezza domestica essenziale per vivere bene.
censis.it
ASSIV – Sicurezza percepita e responsabilità condivisa
La sicurezza percepita è maggiore tra i giovani (69%) e tra i laureati (67,3%).
assiv.it

Il grande cortocircuito

La nostra percezione del rischio è un software primitivo aggiornato male:

  • Siamo programmati per temere il leone nella savana,
  • ma viviamo nel panico da “rapinatore nel sottopasso” mentre moriamo di sedentarietà, smog e burnout.

Il risultato?
Viviamo male, scegliamo peggio, e chiediamo soluzioni securitarie a problemi che sono psicologici, ambientali, sistemici.
Chiediamo più telecamere, più divise, più sensori, più serrature, più certificazioni…

…ma non ci preoccupiamo di ciò che cade a pezzi dentro di noi.
Benvenuti nella società del rischio percepito.

Investimenti in sicurezza – Quanto costa sentirsi al sicuro (e a chi conviene davvero)

La sicurezza è diventata un mercato.
E come ogni mercato che funziona, si alimenta più sul desiderio che sul bisogno.

Il bisogno reale di sicurezza – giusto, sano, misurabile – esiste.
Ma quello che paghiamo ogni giorno, in tasse, ansie e deleghe, è il costo del desiderio di sicurezza.
Un bisogno indotto, coltivato, spinto – perché la paura, come la pornografia, vende.

Fonti su investimenti pubblici e sicurezza economica

Osservatorio Recovery – Investimenti pubblici 2024
Nel 2024 gli enti locali italiani hanno speso 22,3 miliardi in investimenti pubblici, +19,3% rispetto al 2023.
osservatoriorecovery.it
Centro Einaudi – Indagine sul risparmio 2024
Il 65% degli investitori italiani considera la sicurezza la priorità assoluta nelle scelte finanziarie.
centroeinaudi.it

💣 Spese militari: la sicurezza come teatrino geopolitico

Nel 2024, la spesa militare globale ha superato per la prima volta i 2.200 miliardi di dollari, segnando un +6,8% rispetto all’anno precedente.
L’Europa ha registrato l’aumento più alto degli ultimi 30 anni, trainata da guerra in Ucraina, instabilità mediorientale e feticismo da difesa NATO.

L’Italia ha investito circa 30 miliardi di euro, quasi il 2% del PIL, come richiesto dagli impegni NATO.
Ma chi controlla dove vanno quei soldi?

  • Sistemi d’arma,
  • droni d’attacco,
  • software di comando,
  • cooperazioni con industrie belliche.

La “sicurezza” qui si misura in testate, licenze, satelliti, non in qualità della vita o protezione dei civili.

📌 Chi ci guadagna davvero? I soliti noti: Lockheed Martin, Leonardo, BAE Systems.
Non è sicurezza. È business dell’insicurezza permanente.

🛡️ Sicurezza privata: il nuovo oro del consumismo ansioso

Allarmi, antifurti, videosorveglianza, vigilanza armata, assicurazioni su tutto: la sicurezza privata è un mercato in piena espansione.

In Italia:

  • +80% di installazioni di impianti di videosorveglianza negli ultimi 10 anni
  • Boom di vendite di sistemi “intelligenti” di sicurezza domestica, spesso integrati con dispositivi che ascoltano e profilano
  • Crescita costante del settore vigilanza privata, con oltre 1.000 milioni di euro di fatturato annuo

La casa non è più solo rifugio. È fortezza, trappola, showroom dell’ansia collettiva.

👨‍⚕️ Sicurezza sanitaria: investiamo nella paura, non nella prevenzione

Il SSN italiano è in difficoltà cronica.
E mentre cala la spesa pubblica per cure di base, aumenta quella per soluzioni “emergenziali” e prestazioni private.

  • Liste d’attesa infinite → assicurazioni sanitarie private in boom
  • Ansia da malattia → proliferano esami inutili, visite “difensive”
  • Paura della morte → fioriscono le cliniche-lusso, i biomarcatori, le illusioni di controllo biologico totale

📌 Il sistema sanitario oggi non cura la malattia. Cura l’ansia.
E per farlo, ti presenta ogni anno un preventivo più salato.

🔐 Cybersicurezza: il nuovo dogma

Nel 2023, la sola Italia ha speso oltre 2 miliardi di euro in cybersicurezza, tra pubblico e privato.
Un numero destinato a crescere a doppia cifra.
Ma più paghiamo, più siamo vulnerabili – perché il mercato digitale è progettato per la tracciabilità, non per la protezione.

Le aziende vendono protezione da problemi che loro stesse contribuiscono a creare:

  • Dispositivi smart = nuove vulnerabilità
  • App gratuite = profilazione garantita
  • Intelligenza artificiale = moltiplicazione degli attacchi e delle difese necessarie

🎯 La sicurezza digitale non è un diritto. È un abbonamento mensile alla tua stessa esposizione.

Il paradosso supremo: spendiamo più per rassicurarci che per proteggerci

  • Investiamo miliardi per “difendere i confini”,
    ma poco o nulla per salvare chi ci vive dentro (scuole, salute mentale, coesione sociale).
  • Spendiamo per neutralizzare l’imprevisto,
    ma nulla per imparare a gestirlo.
  • Finanziano muri, codici segreti, telecamere,
    ma non la cultura del rischio, della complessità, dell’adattamento.

La sicurezza vera costa poco.
Quella finta è un pozzo senza fondo.
Eppure, scegliamo la seconda.

Sintesi critica – La sicurezza come gabbia elegante

Abbiamo trasformato un bisogno legittimo in un culto totalitario.
La sicurezza non è più uno strumento: è una condizione moralmente obbligatoria, un’ossessione travestita da buon senso.

Viviamo in una società dove l’imprevisto è patologico, il rischio è inaccettabile, l’errore è colpa.
Per sembrare civili, ci consegniamo a un controllo diffuso, morbido, accettato.

Ci hanno convinti che la sicurezza venga prima della libertà, della vitalità, perfino del pensiero.
E il paradosso è che più ci blindiamo, meno viviamo.

Il prezzo?
L’anestesia.
La resa all’ordinario.
La paura della vertigine.

Uscite di Sicurezza – Antifragilità, rischio scelto, consapevolezza

Se la sicurezza è diventata una gabbia elegante, la libertà non può più essere un diritto astratto.
Deve tornare a essere una pratica concreta, imperfetta, rischiosa.

Non si tratta di vivere senza reti.
Si tratta di scegliere quando toglierle.
Di imparare a cadere senza frantumarsi.
Di stare nel mondo senza pretendere che il mondo ci protegga da sé stesso.

🧱 1. Smettere di chiedere muri. Imparare a costruire spalle.

La civiltà contemporanea è allenata al contenimento, non al contatto.
Serve una cultura che non ti prometta protezione, ma capacità di attraversare l’incertezza.
Questo non è un invito all’eroismo. È una forma di igiene mentale.

📈 2. Sostituire la fragilità protetta con l’antifragilità attiva

Nassim Taleb lo chiama antifragile: ciò che non solo resiste al caos, ma ne trae forza.
L’antifragilità non è resilienza.
Non è “resistere agli urti”.
È crescere con essi.

Applicata alla psiche, significa esporsi al dubbio senza panico.
Alla relazione senza garanzia.
Al futuro senza pronostico.

🧠 3. Educare alla vulnerabilità (che è potere, non debolezza)

Siamo una generazione che non sa fallire senza collassare.
Che chiede rassicurazioni al posto di formazione emotiva.
Che misura la propria autostima in base alla distanza dal trauma, non alla capacità di attraversarlo.

L’unica sicurezza possibile è conoscersi abbastanza da sopravvivere a sé stessi.

🔍 4. Riconoscere il vero rischio: vivere addomesticati

Un’esistenza senza fratture è una menzogna protetta.
Un teatro dove nessuno cade perché nessuno si muove.

Meglio il rischio di uno scarto vero, che la certezza di una perfezione finta.

5. E infine: scegliere

Sì, scegliere.
Non tra sicurezza e insicurezza.
Ma tra coscienza e comfort.
Tra essere e funzionare.
Tra il diritto a essere protetti…
…e il dovere di diventare qualcuno che non ne ha bisogno.

Chiudere bene, oggi, significa non chiudersi affatto.
Restare aperti. Esposti.
Vulnerabili come solo chi ha smesso di mentirsi sa essere.

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