Amore, questa strana malattia
Ah, l’amore. Quel meraviglioso sentimento che, secondo la cultura pop, dovrebbe spalancare le porte del Paradiso, farci volare tra le nuvole e trasformare ogni giornata in un film Disney con la colonna sonora di Adele.
Solo che poi ti ritrovi sul divano, in pigiama, a discutere per la settima volta di fila su chi doveva comprare il detersivo. Altro che “Ti amo”: siamo più sul tono del “Ti sopporto, ma solo perché ho ancora un residuo di serotonina in circolo”.
L’amore è probabilmente il più grande esperimento sociale collettivo mai ideato dall’umanità. È come il Monopoly: all’inizio è divertente, poi tutti litigano e qualcuno finisce per lanciare il tabellone.

Non vissero felici e contenti. E nemmeno insieme, probabilmente.
Le radici (non poi così romantiche) dell’amore
Scordati Cupido. L’amore, prima di diventare un tema da San Valentino, era una questione filosofica. Per Platone, l’Eros era tensione verso l’Idea, mica verso il partner con cui condividere Netflix.
Poi arriva il Romanticismo, e l’amore diventa una religione laica: passione, sofferenza, lettere struggenti e tubercolosi a pioggia. Grazie mille, Goethe.
Nietzsche invece ci dice che l’amore è un modo sofisticato per perpetuare la specie, un delirio dell’Io travestito da profondità. Insomma, l’amore sarebbe come il marketing: ti vende un sogno, ma dentro c’è un prodotto qualunque.
Amore e psicologia: dipendenze, attaccamenti e altre catastrofi emotive
Se pensi che il tuo modo di amare sia “normale”, congratulazioni: potresti essere il protagonista inconsapevole del tuo stesso trauma.
Le relazioni affettive sono spesso lo specchio (rotto) del nostro sistema di attaccamento, che ci portiamo dietro come un bagaglio a mano in economy.
Hai l’attaccamento ansioso? Preparati a chiamare 47 volte in un giorno per sapere se “va tutto bene”.
Eviti l’intimità? Probabilmente consideri la condivisione emotiva una minaccia nucleare.
Hai un attaccamento sicuro? Ma davvero? Hai fatto il test? Mostrami i risultati.
Troppo spesso confondiamo amore con bisogno: bisogno di approvazione, di stabilità, di uno specchio che ci rimandi un’immagine tollerabile di noi stessi. Non stai amando, stai implorando coerenza alla tua identità instabile. È una differenza sottile, ma letale.
Le fasi dell’amore: tra neurochimica e psicodramma
“Non è magia, è dopamina. Ma anche un po’ di trauma.”
1. Infatuazione – Il Big Bang biochimico
- Dopamina alle stelle → euforia, energia, idealizzazione.
- Norepinefrina → iperattivazione, insonnia, batticuore.
- Cortisolo in crescita → leggera ansia da prestazione amorosa.
- Serotonina in caduta libera → pensiero ossessivo (tipo: “Perché non mi ha ancora risposto?”).
Psicologia:
- Fase dominata dalla proiezione: vedi nell’altro ciò che desideri, non ciò che c’è.
- Il tuo inconscio applaude: finalmente una nuova occasione per rimettere in scena il tuo copione affettivo irrisolto.
🧠 Effetto collaterale: ti sembra amore eterno. È solo il cervello in acido (endogeno).
2. Attaccamento – La stabilizzazione del delirio
Neurochimica:
- Aumento di ossitocina e vasopressina → senso di sicurezza, legame profondo, coccole seriali.
- Dopamina si abbassa → sparisce il brivido iniziale, subentra la calma (o la noia).
Psicologia:
- Subentra il vero volto del partner (spoiler: è umano).
- Il sistema di attaccamento personale si attiva: ansioso, evitante, sicuro o incasinato.
- Cominciano i primi conflitti di realtà: non è più chi pensavi che fosse, e nemmeno tu.
🧠 Effetto collaterale: potresti scoprire che ami più l’idea della relazione che la persona accanto a te.
3. Consolidamento (o Implosione) – Amore maturo o disastro relazionale
Neurochimica:
- Equilibrio (se va bene) tra ossitocina, dopamina e endorfine → stabilità e affetto.
- Oppure scompensi → litigi, stress cronico, fuga su Tinder.
Psicologia:
- L’amore diventa scelta consapevole, non più solo impulso.
- La coppia evolve o implode: si trasforma in alleanza o in campo di battaglia narcisistica.
- Emergono i pattern profondi: bisogno di controllo, paura dell’abbandono, autoboicottaggio relazionale.
🧠 Effetto collaterale: se non hai fatto lavoro su te stesso, stai ancora litigando con tua madre – solo con un altro nome e codice fiscale.
4. Evoluzione – Amare senza dipendere
Neurochimica:
- Nessuna sostanza miracolosa: solo regolazione emotiva e neuroplasticità ben coltivata.
- La chimica si integra con la coscienza.
Psicologia:
- L’amore diventa una pratica, non un bisogno.
- Si mantiene l’individuazione personale dentro la relazione.
- È l’incontro tra due interezze, non tra due metà disperate.
🧠 Effetto collaterale: sei libero. E per questo, scegli di restare.
Conclusione: l’amore non è (solo) un sentimento. È una danza tra biochimica e biografia.
Se non conosci te stesso, ogni relazione sarà solo una nuova occasione per perderti.
Se impari a stare con te, puoi finalmente scegliere con chi essere – e non solo con chi stare.
Alternative e riscritture: sopravvivere (e magari prosperare) in coppia
Facciamola semplice: una relazione sana non è quella senza conflitti, ma quella in cui puoi essere sinceramente a disagio senza temere di essere buttato fuori dal regno affettivo.
L’amore consapevole è quello che ti lascia spazio. Non perché non gliene freghi niente, ma perché non ha bisogno di invadere il tuo ecosistema per sentirsi vivo. È un amore che non colonizza, ma condivide.
E le relazioni non sono solo quelle etero-monogamiche in modalità “casa, figli, mutuo e la morte come piano di fuga romantica”.
Ci sono coppie aperte, poliamorose, relazioni a distanza, relazioni intermittenti, affinità elettive più forti del sesso, convivenze con il proprio gatto come partner primario. E tutte – se vissute con consapevolezza, sincerità e rispetto – sono valide quanto l’icona del matrimonio perfetto su Instagram.
Ma niente di tutto ciò ha senso se non hai prima fatto i conti con te stesso. L’amore più rivoluzionario? Quello in cui impari a stare da solo senza sentirti vuoto. Dove non cerchi l’altro per colmare, ma per espandere.
Oltre il mito: l’amore come pratica filosofica
L’amore, se ci liberiamo dalle cianfrusaglie hollywoodiane, è un’occasione squisitamente filosofica: è lo spazio dove il nostro Io smette di recitare e inizia a evolvere. Dove smettiamo di chiederci “cosa mi dà questa relazione?” e iniziamo a chiederci “chi divento in questa relazione?”.
Perché le coppie si rompono (e perché, forse, è un bene)
“Ogni fine è solo l’inizio… della terapia.”
1. Perché le coppie si rompono?
Spoiler: non è (solo) colpa sua.
Le coppie si rompono perché:
- La proiezione svanisce e scopri chi c’era davvero sotto l’illusione.
- I bisogni cambiano e spesso nessuno lo dice finché non è troppo tardi.
- Si cresce (o si regredisce) a velocità diverse.
- Manca il coraggio di affrontare i conflitti, o peggio, li si affronta come guerre.
- L’intimità emotiva si trasforma in routine, poi in silenzio, poi in distanza.
Il punto non è che l’amore finisce. È che non evolviamo abbastanza da accompagnarlo.
2. L’amore finito come opportunità di crescita
Quando tutto crolla, puoi scegliere: rimpiangere o trasformare.
Una relazione che finisce è una lente d’ingrandimento sui tuoi meccanismi più profondi:
- Le tue paure di abbandono.
- Le tue dipendenze affettive.
- La tua incapacità di dire no o di farti vedere davvero.
È un invito brutale ma efficace a chiederti: “Chi sono diventato in questa relazione?” e, soprattutto, “Chi voglio diventare ora?”
3. Il lutto sentimentale e la rielaborazione del sé
Perdere una persona che amavi (o credevi di amare) è un lutto a tutti gli effetti.
Non esistono shortcut emotivi: lo attraversi o ti ci incastri dentro.
- Prima viene la negazione (“tornerà, lo so”).
- Poi la rabbia (“è solo un narcisista/una stronza”).
- Poi il vuoto (“chi sono senza di lui/lei?”).
- E infine, se non ti distrai troppo, arriva la rivelazione:
“Sono ancora io. E valgo anche senza quella relazione.”
Il dolore sentimentale è una crisi identitaria, ma anche una fucina di consapevolezza.
Ogni relazione che finisce ti lascia una versione di te stesso che non sapevi di poter diventare.
Conclusione
L’amore che finisce può essere una tragedia o un inizio. Dipende da quanto sei disposto a guardarti dentro, invece di cercare subito un rimpiazzo.
Come diceva Erich Fromm, amare è un’arte: richiede pratica, pazienza, disciplina, conoscenza di sé.
Non è un colpo di fulmine. È un lavoro alchemico che parte da dentro e – con un po’ di fortuna – si riflette fuori.
La verità è che non ci serve una relazione per essere felici. Ci serve una relazione che sia vera, e prima ancora, ci serve verità interiore. Altrimenti continueremo a chiamare “amore” qualsiasi forma di abitudine, attaccamento, paura o teatrino ben confezionato.
E tu, che idea hai dell’amore?
Hai mai vissuto una relazione consapevole o sei sopravvissuto a una relazione tossica che oggi ti fa da monito esistenziale?
Hai trovato te stesso grazie a qualcuno o nonostante qualcuno?
Fai il TEST BASTARDO sul tuo tipo di attaccamento!
🧠 Raccontalo nei commenti.
🔁 Condividi l’articolo con chi ha bisogno di una dose di realtà affettiva.
📩 Iscriviti alla newsletter di Illuminismo Bastardo per altri contenuti che ti faranno mettere in dubbio anche il tuo peluche dell’infanzia.
Questo articolo mi ha colpita dritta dove fa ancora male. Perché, alla fine, quante di noi ci sono passate? Ci credi, ti butti, pensi che stavolta sia diverso… e poi ti ritrovi da sola a ricostruire i pezzi mentre lui “non sa”, “non se la sente”, “ha bisogno di tempo”. Sembra sempre che siamo noi quelle troppo intense, troppo sensibili, troppo tutto. Ma magari il problema è che a certi uomini non è mai stato chiesto davvero di mettersi in gioco fino in fondo. E noi, per amore, abbiamo fatto finta che bastasse così.