Il mito rassicurante della libertà personale

Tutti credono di avere libero arbitrio. È una delle poche illusioni collettive che mette d’accordo filosofi da bar, coach motivazionali e influencer di crescita personale.

Diciamo “ho scelto io”, ma quasi mai ci chiediamo chi ci ha messo lì, in quel momento, con quelle opzioni, quella fame, quella paura, quel bisogno di approvazione.
È come se la scelta esistesse in un vuoto. Ma non esiste nessun vuoto.
Esistono solo contesti, ferite, condizionamenti e algoritmi che ti spingono verso un risultato… che poi chiami tuo.

Nel frattempo, ti dici: “sono libero, nessuno mi obbliga a fare nulla”.
Eppure ogni scelta che fai — il partner che scegli, il lavoro che accetti, la rabbia che esplodi — è scritta nelle note a piè di pagina del tuo passato.

Questa non è colpa tua.
È solo il modo in cui la tua coscienza si protegge.
E il libero arbitrio? È il placebo perfetto: non cura niente, ma ti fa sentire attivo.

Illustrazione concettuale surrealista che rappresenta una figura umana a un bivio tra identità riflesse, con fili tagliati come simbolo del libero arbitrio.

Ma cos’è davvero il libero arbitrio?

Il libero arbitrio è come l’aria condizionata in un centro commerciale: ti accorgi che c’è solo se smette di funzionare.

È un concetto antico, complesso, eppure lo trattiamo come fosse una funzione preinstallata nell’essere umano.
“Ho scelto io.” Fine.
Come se bastasse dichiararlo per renderlo vero.

In realtà, nessuno ti insegna cosa sia davvero il libero arbitrio.
Ti viene dato per scontato: è l’etichetta filosofica sulle tue azioni quotidiane.
Un permesso firmato dall’ego per non sentirsi manipolabile.

Perché se ogni tua decisione parte da un mix di bisogni non scelti, pulsioni preverbali, esperienze che non ricordi e credenze che non hai mai verificato…
quanto margine ti resta davvero per scegliere?

Attenzione: qui non si sta dicendo che siamo automi.
Ma solo che l’autonomia — quella vera — non si regala con un diploma o con un TED Talk.
Richiede uno sguardo onesto su cosa ti muove prima che tu possa accorgertene.

E questo, per molti, è più scomodo di qualunque controllo esterno.

Libertà e libero arbitrio secondo il Buddhismo

Il paradosso della libertà nella visione buddhista

Nel buddhismo, la libertà non è scegliere tra opzioni.
Non è decidere “cosa fare”, “chi essere” o “cosa volere”.
È liberarsi dal bisogno stesso di scegliere per affermare un sé.

Il libero arbitrio, così come lo intende l’Occidente, è spesso solo una gabbia dorata:
ti illude di essere sovrano della tua vita,
quando in realtà sei schiavo delle tue abitudini mentali, dei tuoi desideri e delle tue avversioni.

Karma, causa ed effetto: sei libero… ma solo se sei sveglio

Nella prospettiva buddhista, ogni azione nasce da una catena di cause e condizioni.
Fintanto che agisci sotto l’impulso dell’ignoranza, dell’attaccamento o dell’odio,
non stai esercitando il libero arbitrio: stai semplicemente reagendo.

Solo quando osservi ciò che accade senza attaccarti,
solo quando non ti identifichi con la pulsione che sorge,
puoi iniziare a essere libero davvero.

La vera domanda non è “chi sei”.

È: puoi smettere di aggrapparti a chi credi di essere?

Il buddhismo non ti dice che sei libero.
Ti dice che puoi diventarlo, ma non nel modo in cui credi.

La libertà buddhista è l’estinzione delle illusioni che ti fanno sentire separato, speciale, in guerra col mondo.
Quando smetti di difendere la tua identità come se fosse un territorio da proteggere,
il libero arbitrio non serve più:
c’è solo presenza.
Azione senza attore.

Conclusione bastarda ma compatibile

Nel buddismo, il libero arbitrio è solo una funzione del sé.
Ma se il sé è impermanente, reattivo e illusorio…
quanto può essere libera la libertà che rivendichi?

Il libero arbitrio ha bisogno di un contesto. Ma nessuno te lo dice.

Quando si parla di libero arbitrio, il problema non è solo capire se esiste.
È chiedersi dove lo immaginiamo.

Per molti, il libero arbitrio è qualcosa che sta dentro la persona, come una batteria interna: o ce l’hai o no.
Ma funziona davvero così?

Prova a rispondere a questa domanda:
avresti fatto la stessa scelta, nello stesso modo, se fossi cresciuto in un altro quartiere, con un altro accento, in un altro corpo, in un altro secolo?

No, vero?

Eppure continui a pensare che il tuo libero arbitrio sia una forza “pura”, indipendente dal contesto, come se fosse scollegata dalla lingua che parli, dal posto in cui vivi, dalla gente che ti ha educato e dalle parole che hai imparato per nominare la realtà.

Il problema è che il tuo sistema operativo non lo scegli.
Ti viene installato. Poi, al massimo, puoi cercare di hackerarlo.

Ma per farlo, devi prima accorgerti che non sei libero solo perché nessuno ti punta una pistola alla testa.
A volte basta un consiglio gentile, una frase sentita mille volte, o una paura lasciata lì a fermentare.

E tutto il resto… lo chiami libertà.

Quando il libero arbitrio diventa uno spettacolo

Viviamo in un’epoca in cui essere sé stessi è diventato un imperativo morale.
Ma “sé stessi” non è più una sostanza: è una performance.

Lo vedi ovunque.
Dal profilo Instagram “spontaneo” alla bio di Tinder che dice “io sono così”.
Il libero arbitrio si trasforma in un palcoscenico, e ogni scelta che compi deve sembrare autentica, ma anche esteticamente coerente con il personaggio che interpreti.

Il problema non è tanto se hai scelto tu.
È che forse hai scelto ciò che ti fa sembrare più coerente con l’idea che gli altri hanno di te.

La libertà si gioca sempre sotto sguardo.
E sotto sguardo, spesso, scegli non ciò che vuoi, ma ciò che conferma la narrazione che hai costruito.
Così il libero arbitrio diventa una recita a soggetto: puoi improvvisare, certo, ma entro i limiti della trama che ti sei cucito addosso.

C’è chi dice che siamo schiavi del sistema.
Ma prima ancora, siamo schiavi di ciò che vogliamo sembrare liberi di essere.

Ed è qui che il libero arbitrio si avvicina alla finzione più sofisticata:
ti convince che stai scegliendo, mentre stai solo interpretando una parte che nessuno ti ha chiesto di recitare.

Il giorno in cui il libero arbitrio diventa troppo

Ci sono momenti in cui nessuno ti ostacola.
Non hai padroni, non hai obblighi, non hai nemici da combattere.
Eppure sei paralizzato.

È qui che cominci a intuire che il libero arbitrio non è un dono. È un carico.
E quando il carico diventa troppo evidente, molti di noi preferiscono rientrare nella gabbia che conoscono, anche se arrugginita.

Perché la verità è che la libertà non è solo possibilità.
È anche assenza di alibi.

Scegliere davvero significa perdere per sempre la scusa del “non potevo farci niente”.
E questo, per molte coscienze moderne, è intollerabile.

Ed è proprio lì, nella piena assenza di vincoli, che emergono i nodi veri:
non sai cosa vuoi, non sai chi sei, e nessuno ti dice più cosa devi fare.

La libertà, quella vera, non dà un senso. Lo chiede.
E se non sei pronto a rispondere, ti travolge.

La vera domanda: sei pronto a vivere senza scuse?

Arriva sempre un momento in cui non puoi più dire:
“Non potevo farci niente.”
“Non era il momento.”
“Ovviamente sono fatto così.”

È il momento in cui il libero arbitrio non è più un’idea astratta, ma una realtà che ti presenta il conto:
tu sei responsabile non solo delle azioni che hai fatto,
ma anche di quelle che hai evitato per paura di vedere chi sei davvero.

Ed è qui che finisce il gioco.

Perché senza scuse, senza passato da invocare, senza ruoli da interpretare, resti tu.
E quella è la libertà che fa male: non la mancanza di regole, ma la fine dell’alibi.

Sei pronto per questo?

O preferisci continuare a raccontarti che il mondo ti ha spinto, che le circostanze ti hanno frenato, che “non era il momento giusto”?

Il libero arbitrio nella storia della filosofia

Una breve storia del dubbio che chiami libertà

🏛️ Antichità: liberi, ma solo se sei un dio o un eroe

Per i greci, la libertà non era democratica.
Il destino (Moira) teneva tutti in pugno, tranne gli dei e qualche eroe tragico in cerca di guai.
Il libero arbitrio, come lo intendiamo oggi, non esisteva come concetto individuale.
Si parlava semmai di virtù, cioè della capacità di dominare sé stessi… ma sempre all’interno di un disegno più grande.

✝️ Medioevo: tra Dio e il peccato originale

Qui si fa il botto.
Il libero arbitrio diventa una questione di salvezza eterna.

  • Sant’Agostino: sì, abbiamo libero arbitrio, ma lo usiamo male a causa del peccato originale.
  • Tommaso d’Aquino: possiamo scegliere, ma sempre verso Dio (con l’aiutino della grazia).
  • Eresie varie: chi diceva “l’uomo è davvero libero” spesso finiva bruciato.

⚙️ Modernità: l’io padrone del mondo (forse)

Con l’Umanesimo e l’Illuminismo, l’uomo sale in cattedra.
Cartesio dice: “Cogito, ergo sum” — e tutto parte da lì.
Il libero arbitrio diventa motore dell’autonomia, della scienza, della morale.

Ma c’è chi si accorge che qualcosa non torna:

  • Spinoza: tu credi di essere libero, ma sei solo ignorante delle cause.
  • Leibniz: sei libero sì… ma tutto era già previsto nella “migliore delle vite possibili” (!).
  • Kant: sei libero solo quando obbedisci alla tua ragione morale (il che non suona esattamente liberissimo).

💣 Contemporanei: l’agonia della libertà

Arrivano i bastardi veri:

  • Nietzsche: il libero arbitrio è un’invenzione dei deboli per sentirsi colpevoli.
  • Freud: tu non scegli, il tuo inconscio lo fa per te.
  • Sartre: sei libero, sì… ma a forza. Condannato a scegliere, sempre.
  • Foucault: anche la tua libertà è una forma di potere camuffata.
  • Dennet vs. neuroscienziati: qualcuno dice che la libertà si salva, qualcun altro misura l’impulso 0,3 secondi prima della scelta. Chi vuoi ascoltare?

📌 Conclusione filosofica non richiesta

La filosofia ha tentato per secoli di capire se sei libero.
Ma raramente si è chiesta chi te lo ha chiesto davvero.

Forse il problema non è se hai libero arbitrio.
Il problema è che continui a volerlo per non ammettere che potresti non essere speciale.

Se hai anche solo un dubbio, forse è il momento di fare una scelta.
Una vera.

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