Questa mattina ho ricevuto una comunicazione dalla mia commercialista. Non era la convocazione per ricevere un’eredità milionaria, né un’offerta di lavoro da sogno, ma una circolare che mi informava che dal 31 marzo 2025 entrerà in vigore l’obbligo di stipulare una polizza obbligatoria calamità naturali per le imprese. Un’imposizione che le costringerà a pagare per proteggersi da disastri che lo Stato non intende più gestire, in conformità a quanto stabilito dalla Legge di Bilancio 2024 e il Decreto Milleproroghe (DL 207/2024), attuato con il D.M. 30/01/25 n. 18.

Avete capito bene: obbligatoria. Non un consiglio, non un incentivo, non un “chi vuole si protegge”. No. Obbligatoria.

Perché? Perché lo Stato, nella sua infinita saggezza (e nel suo costante bisogno di trovare nuovi modi per scucirci soldi), ha deciso che non sarà più lui a gestire gli aiuti in caso di disastri. Non più protezione pubblica, non più fondi per l’emergenza, non più sostegno ai cittadini. D’ora in poi, se un’alluvione vi porta via tutto, prima di disperarvi dovrete assicurarvi di aver pagato il premio alla compagnia assicurativa giusta.

E badate bene, questo vale anche se la calamità è stata causata dalla negligenza dello Stato stesso. Se i fiumi esondano perché da anni non si dragano gli alvei, se le frane si moltiplicano perché nessuno ha fatto manutenzione ai versanti, se una città finisce sott’acqua perché non si sono puliti i canali di scolo, la colpa non sarà mai di chi avrebbe dovuto prevenire il disastro. Sarà sempre tua, perché non ti sei assicurato.

Burocrate bionda che fa spallucce davanti a un’alluvione in Italia, mentre dirigenti assicurativi brindano con champagne, celebrando i loro profitti

Polizza obbligatoria e privatizzazione del disastro

Ora, per carità, nessuno nega che le calamità naturali siano un problema serio. E nessuno mette in discussione il fatto che la prevenzione sia importante. Ma qui non si tratta di prevenzione. Si tratta di un’imposizione mascherata da tutela, un’operazione che profuma di “capitalismo coatto” da ogni poro.

Pensiamoci un attimo. Lo Stato, invece di fare il suo lavoro – ovvero creare un sistema di protezione pubblico per chi si trova in difficoltà, come fa con la sanità, la previdenza sociale o il soccorso in montagna – decide che il modo migliore per “aiutare” è costringere le aziende a stipulare polizze con compagnie private.

Tradotto: il rischio di un’intera nazione viene scaricato sulle imprese, che da un giorno all’altro si ritrovano a dover pagare premi assicurativi senza aver avuto alcuna voce in capitolo su costi, coperture e condizioni. E, si badi bene, il prezzo di queste polizze verrà stabilito in base al rischio dell’area. Quindi, se la tua attività si trova in una zona considerata “pericolosa”, auguri: i premi lieviteranno, e se non puoi permetterteli… beh, sono affari tuoi.

E il bello è che quel rischio potrebbe essere stato creato o aggravato dallo stesso Stato, che negli anni ha tagliato fondi per la messa in sicurezza dei territori, ignorato le segnalazioni di esperti e lasciato che l’incuria trasformasse un evento naturale in una catastrofe annunciata.

Ma tranquillo: quando il fango entrerà nel tuo capannone, sarà colpa tua se non avevi l’assicurazione.

Il trucchetto dei fondi pubblici

E qui arriva il colpo di genio. La circolare ci avverte con candore che chi non si assicura sarà escluso da ogni forma di sostegno pubblico in caso di calamità.

Cioè: se una catastrofe ti colpisce e non hai pagato il pizzo assicurativo, lo Stato non ti darà un centesimo.

Chiudiamo gli occhi e immaginiamo: arriva una tempesta, l’alluvione sommerge la tua azienda, i tuoi macchinari sono distrutti. Corri dallo Stato, chiedi aiuto, e lui cosa fa? Ti guarda con sufficienza e ti dice: “Eh no, caro mio, dovevi assicurarti.”

Siamo di fronte a una privatizzazione della solidarietà, un concetto che fino a qualche anno fa sembrava appannaggio solo degli Stati Uniti. Ma tranquilli, ora ce lo servono anche da noi, con la scusa della responsabilità e della gestione sostenibile.

Lo Stato ti obbliga ad assicurarti… e indovina chi ci guadagna?

E qui sta il punto: chi sono i veri beneficiari di questa riforma?

  • Le compagnie assicurative, che da un giorno all’altro si ritrovano con un mercato garantito per legge. Un intero settore obbligato a pagare polizze, senza possibilità di scelta.
  • Lo Stato, che si lava le mani di ogni responsabilità futura e può smettere di preoccuparsi di come gestire le emergenze. “Non abbiamo soldi per gli aiuti? Non importa, tanto c’è l’assicurazione”.
  • Gli speculatori finanziari, perché scommettiamo che tra un po’ vedremo nascere fondi di investimento basati sulla gestione di queste polizze obbligatorie?

Chi ci perde?

Noi. Le imprese, i lavoratori, chiunque si trovi in un territorio a rischio. Saremo costretti a pagare per una polizza obbligatoria calamità naturali, senza alcuna garanzia che questa coprirà davvero i danni quando servirà.”

E non dimentichiamo che il costo di queste assicurazioni verrà scaricato sui prezzi finali dei prodotti e servizi. Il risultato? Consumatori che pagano di più e imprese che guadagnano di meno.

Un comodo escamotage per l’inefficienza burocratica

Questo provvedimento, più che una soluzione, è un’ammissione di fallimento. Invece di garantire una gestione efficiente del territorio e delle emergenze, lo Stato si limita a scaricare il problema sulle imprese, come a dire: “Sappiamo che il sistema è inefficace, quindi arrangiatevi”.

È l’escamotage perfetto: anziché risolvere le cause strutturali dei disastri, si impone un’assicurazione, normalizzando l’idea che i danni siano inevitabili e che a pagarli debbano essere i cittadini. Così facendo, non serve più migliorare la prevenzione, perché il problema diventa un’opportunità di mercato.

Verso un futuro a due velocità

Ci stiamo dirigendo verso un sistema in cui solo chi ha soldi potrà permettersi sicurezza. Un po’ come con la sanità privata, la scuola privata, i trasporti privati.

Chi ha le risorse potrà stipulare la polizza migliore, chi non le ha sarà costretto a scegliere la più economica – sperando che, quando arriverà il disastro, la compagnia assicurativa non trovi una qualche scappatoia legale per non pagare.

La domanda finale è: quanto ancora siamo disposti ad accettare che lo Stato smetta di essere un garante per diventare un piazzista di polizze?

E tu cosa ne pensi?

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